L’industria dell’azzardo è davvero messa in pericolo dal Decreto Dignità? Per il momento sembrerebbe di no. Soprattutto perché nemmeno lo Stato, che con il governo Lega-5 Stelle ha realizzato la nuova legge, ha interesse nel distruggere uno dei settori più redditizi per le sue casse. A parlare sono i numeri, che negli ultimi anni hanno confermato il valore del gambling all’interno del bilancio statale e dell’economia del lavoro. Difficilmente il divieto delle pubblicità e una possibile revisione della percentuale di trattenuta fiscale sugli apparecchi potranno mettere in ginocchio una struttura che poggia su fondamenta solide.
Il meccanismo del gioco d’azzardo infatti si basa su due grandi gruppi, che non potranno essere scalfiti in maniera significativa dal Decreto Dignità. Il primo è SGI (Sistema Gioco Italia), di cui fanno parte ACMI (l’Associazione che raggruppa i quattro quinti di costruttori italiani di NewSlot), Assotrattenimento (in rappresentanza degli apparecchi ludici), Federbingo, Federippodromi, Codere Network, Netwin Italia e Sisal. Una cordata omogenea, che rappresenta tutte le specialità di maggiore interesse per gli scommettitori italiani, e che è al lavoro per poter mantenere i propri introiti miliardari anche senza poggiare sulle pubblicità in televisione. L’altro gruppo è l’Associazione Concessionari Apparecchi da Intrattenimento (ACADI), di cui fa parte il concessionario di Stato CNI insieme ad Admiral Gaming, Gamenet, HBG Conex, Lottomatica, NTS e Snaitech. In questa sfilza di nomi ne compaiono almeno un paio sicuramente noti anche ai giocatori occasionali, o per la loro risonanza mediatica o semplicemente per la diffusione del marchio sul territorio. I due macrogruppi fanno riferimento a realtà di altri settori economici, come la banca BNL. È evidente che l’interesse è preservare il prodotto, mantenendone l’efficacia nel comparto terrestre o spostandolo sull’online, dove potrebbe essere il mercato del futuro.
Il problema nel proibizionismo assoluto, strada paventata dalle frange più estremiste dei “no slot” ma non ancora presa in considerazione dallo Stato, risiede nel mercato del lavoro italiano. L’Agenzia dei Monopoli ha stimato che l’industria conta tra i 150.000 e i 200.000 impiegati nel nostro Paese. L’ampia forbice è costituita da quei locali che non hanno nell’azzardo la loro principale fonte di reddito, possedendo solo una o più slot machine al loro interno. Tuttavia, senza l’ulteriore introito garantito dall’azzardo sarebbero a rischio chiusura, o almeno riduzione del personale. In tutto la Confindustria Sistema Gioco Italia conta 5.000 aziende, con 120.000 punti vendita e 6.181 punti gioco autorizzati.
La costante crescita del settore è stata confermata dai dati del 2017 pubblicati da Giochidislots.com. Il volume di gioco complessivo ha superato per la prima volta il muro dei 100 miliardi di euro, contro i 95 del 2016 e i circa 90 del 2015. I giocatori hanno vinto in tutto 81 miliardi di euro, con i restanti 19 divisi tra le casse dello Stato e gli esercenti. Le scommesse sportive sono la specialità con un positivo maggiore, stimabile intorno al 23. Probabile che influisca nel dato la presenza di un evento di livello internazionale come i mondiali di calcio, per quanto l’assenza dell’Italia può aver pesato in negativo. Si stanno ritagliando uno spazio importante betting exchange e scommesse virtuali, che hanno sfiorato il 20% di raccolta in più rispetto al 2016. In leggera flessione invece le slot machine, che insieme alle videolottery rimangono la fetta più consistente della torta. In crollo verticale l’ippica, incapace di fare presa sulle generazioni di neomaggiorenni. Basterà l’avanzata dell’online per ribaltare una volta di più le gerarchie?
La redazione
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