Jung e la morte: riflessioni sull’inconscio, l’eternità e il senso della fineLa morte: fine o trasformazione?
08-02-2025

Il pensiero del grande psicologo svizzero Carl Gustav Jung esplora il significato della morte, affermando la sua importanza psicologica come parte integrante della vita.

Carl Gustav Jung, uno dei più influenti pensatori del XX secolo, non è stato solo uno psicologo e psichiatra, ma anche un filosofo dell’esistenza.

Le sue riflessioni sulla morte, presentate in una storica intervista del 1959, mettono in discussione la concezione comune della fine della vita.

Jung propone una visione radicalmente diversa, in cui la morte non rappresenta solo la fine biologica dell’essere umano, ma anche un momento di grande trasformazione psicologica e spirituale.

In questo articolo esploreremo il suo pensiero sulla morte, le critiche ricevute da filosofi contemporanei e il suo impatto sul pensiero moderno.

 

Morte e nascita: due facce della stessa medaglia

Durante l’intervista, Jung afferma che la morte è psicologicamente altrettanto importante della nascita.
Sebbene possa sembrare un paradosso, egli sostiene che la vita e la morte siano legate da un ciclo continuo.

Secondo lo psicologo svizzero, la psiche umana non è limitata dalle barriere dello spazio e del tempo, questo concetto è centrale nella sua teoria della sincronicità, che egli descrive come la coincidenza significativa di eventi senza una connessione causale diretta.

Jung ritiene che fenomeni psichici, come sogni profetici o visioni del futuro, indichino che una parte della nostra mente possa esistere oltre la dimensione materiale.

Per lui, la morte è una trasformazione, simile a quella che avviene alla nascita, quando l’individuo passa da uno stato di non-esistenza a uno stato di consapevolezza.

Egli non parla solo di una possibilità teorica, ma si basa anche su esperienze cliniche e aneddoti.

Molti suoi pazienti hanno riportato esperienze di pre-morte o sogni che simbolicamente anticipavano il loro destino. Tali fenomeni, secondo Jung, non possono essere semplicemente ridotti a casualità o illusioni.

 

L’importanza del simbolismo nella morte

Jung assegna un ruolo centrale ai simboli, che costituiscono il linguaggio dell’inconscio.

La morte, nel simbolismo universale, appare come una porta, una soglia oltre la quale si accede a una nuova realtà. In diverse culture e tradizioni religiose, dalla mitologia egizia al buddhismo, la morte è vista come un viaggio dell’anima. Questi archetipi, secondo Jung, non sono solo immagini culturali, ma espressioni universali dell’inconscio collettivo.

Il simbolismo della morte ha una funzione terapeutica: aiuta le persone a elaborare la paura della fine. L’integrazione di questo simbolo nella psiche permette di affrontare la vita con maggiore coraggio e autenticità. Infatti, per Jung, rifiutare la morte equivale a rifiutare la vita stessa, poiché entrambe sono parti di un’unica realtà.

 

Credere o sapere? La differenza cruciale per Jung

Alla domanda se egli credesse o meno nell’esistenza di una vita dopo la morte, Jung risponde in modo diretto: “Io non credo. Per me credere è qualcosa di difficile. Non ho bisogno di credere in un’ipotesi, ho bisogno di sapere.” Questa risposta sottolinea il metodo scientifico e razionale di Jung, che distingue nettamente tra fede e conoscenza. Per Jung, l’esperienza personale e l’osservazione dei fenomeni psichici sono fondamentali.

Questo approccio si differenzia dalla posizione di molti pensatori religiosi, che vedono nella fede la base per accettare l’idea di un’esistenza ultraterrena.

Per Jung, invece, la fede senza esperienza è insufficiente, il pensatore invita le persone a osservare con attenzione i segnali che emergono dall’inconscio e a prendere sul serio i messaggi simbolici che questi offrono.

 

L’invecchiamento e il confronto con la morte

Jung riporta la sua esperienza clinica con numerosi pazienti anziani. Secondo lui, l’inconscio non sembra percepire la morte come una cessazione definitiva.

Gli individui che riescono a vivere con uno sguardo rivolto al futuro, piuttosto che al passato, affrontano la vecchiaia con maggiore serenità. Coloro che, invece, si pietrificano nella paura della fine anticipano il loro declino psicologico e fisico.

Jung sottolinea l’importanza di continuare a progettare, creare e guardare avanti anche negli ultimi anni di vita. Questa prospettiva è in contrasto con l’idea che l’invecchiamento sia un periodo di declino inevitabile.

Al contrario, Jung vede la vecchiaia come una fase di grande potenzialità psicologica, in cui l’individuo può avvicinarsi al significato profondo della propria esistenza.

 

La psiche collettiva e l’individualità

Jung ha affrontato anche il tema del rapporto tra l’individuo e la collettività opponendosi all’idea di un completo assorbimento dell’individualità in una coscienza collettiva.

Jung teme che l’eccessiva enfasi sulla società e sulle norme collettive possa portare alla perdita dell’identità personale. La vera realizzazione, secondo Jung, si trova nella scoperta e nello sviluppo del Sé, l’archetipo centrale della personalità.

 

Le esperienze personali di Jung e la ricerca del significato

Carl Jung non elaborò le sue teorie sulla morte e sulla psiche solo attraverso la riflessione teorica, ma anche attraverso le sue esperienze personali.
In diverse occasioni, Jung riferì di aver vissuto momenti di intensa introspezione e visioni simboliche, specialmente durante i periodi di crisi. Uno degli episodi più noti è la cosiddetta “confrontazione con l’inconscio” che ebbe tra il 1913 e il 1916, un periodo durante il quale sperimentò una serie di visioni e sogni che avrebbero poi costituito la base del suo libro “Il Libro Rosso”.

In queste esperienze, Jung si trovò spesso a confrontarsi con immagini di morte e rinascita. Questi simboli lo aiutarono a comprendere la struttura profonda della psiche umana e a sviluppare il concetto di processo di individuazione.

 

La morte nelle culture e religioni del mondo

Le riflessioni di Jung sulla morte sono profondamente influenzate dalla sua conoscenza delle culture e delle religioni di tutto il mondo. Egli studiò le tradizioni spirituali dell’Asia, come l’induismo e il buddhismo, trovando affinità con le sue teorie psicologiche. Nella tradizione alchemica europea, Jung trovò simboli di morte e rinascita necessari alla realizzazione spirituale.

Jung ha analizzato come la modernità abbia intensificato la paura della morte, riducendola a un semplice evento biologico. Egli sostiene che il recupero di una visione simbolica e archetipica possa aiutare a superare questa crisi.

In un’epoca dominata dalla razionalità, Jung ci ricorda l'importanza di esplorare le profondità dell’anima e il mistero della morte.

DAVIDE ROMANINI [d.romanini@zenazone.it]

Nato nel 1969 a Genova, ingegnere, uno dei due soci di Zenazone e co-fondatore di Zenazone.it
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