Sempre più frequentemente si sente parlare di tecnostress, un termine legato all’innovazione tecnologica e al lavoro, un nuovo rischio professionale che incide sulla qualità del lavoro e della vita dei lavoratori, colpendoli sia sul piano fisico che su quello psichico, con gravi ripercussioni sul complesso dell’organizzazione e un significativo pregiudizio della sua produttività.
Il Tecnostress può essere definito come una sindrome da stress causata direttamente o indirettamente dalla tecnologia, la quale può provocare un disagio fisico e/o psicologico alla persona. Ci riferiamo soprattutto a un utilizzo eccessivo e disfunzionale delle tecnologie digitali, più comunemente chiamate ICT.
A Genova abbiamo la fortuna e l’opportunità di poter sviscerare l’argomento con uno dei massimi esperti della materia, il dott. Massimo Servadio, psicologo del lavoro e psicoterapeuta, fondatore e amministratore di Servadio & Partners s.r.l., società che opera proprio nel settore della consulenza organizzativa, della formazione e della sicurezza nei contesti lavorativi.
Dott. Servadio, la legge italiana ha recepito la pericolosità derivante dal tecnostress disponendo misure adatte a combatterlo all’interno della vita lavorativa delle nostre aziende?
La legge italiana dispone che ogni azienda, nell’ambito del processo di valutazione dei rischi che porta successivamente alla stesura del DVR (Documento di Valutazione dei Rischi), proceda ad un’attenta valutazione dei rischi legati allo stress lavoro-correlato, nel cui alveo va inserita anche l’eventuale presenza del rischio tecnostress, e conseguentemente, l’indicazione di opportune misure di prevenzione e di intervento.
Valutare il rischio tecnostress - la sua presenza, il suo grado, i suoi sintomi - è quindi il primo passo che le Organizzazioni devono mettere in atto per accompagnare efficacemente il processo di innovazione tecnologica e che devono introdurre per poter continuare ad essere attori in un contesto nuovo, in quel new normal che l’evento pandemico ha contribuito a delinare.
Dal punto di vista delle organizzazioni, come si può adottare una politica aziendale efficace contro il pericolo costituito dal tecnostress?
Le Aziende hanno la necessità di lavorare prima di tutto per creare consapevolezza di quali siano i rischi da tecnostress, di come si manifestino e di come questi vadano, quasi naturalmente, ad annidarsi nei processi della quotidiana operatività, e poi per sviluppare programmi di prevenzione attraverso attività di informazione e di formazione che forniscono ai lavoratori strumenti semplici ed efficaci per intervenire positivamente sui comportamenti .Altrettanto, è necessario intervenire sulla lettura dei processi per individuare quegli aspetti legati alle abitudini, alla gestione dei carichi, alle aspettative non dichiarate che, spesso, celano le cause sui quali si innestano comportamenti disfunzionali.
In tutto questo diventa fondamentale il ruolo di supporto da parte di professionisti esperti nel leggere il funzionamento delle organizzazioni, che le aiutino a rendere tali programmi efficaci e realmente utili per i lavoratori. Occorre in primo luogo eseguire una buona lettura della realtà aziendale, attraverso strumenti ad hoc (quale il nostro questionario Eutecno Evaluation ®) per poi procedere all’implementazione di policy per il corretto uso della tecnologia in azienda, che tengano conto di molteplici fattori, quali il diritto alla privacy, la necessità di definire periodi di disconnessione, il rischio di dipendenza che i diversi device comportano … insomma, che aiutino a disegnare processi improntati ad una vera e propria “net-etiquitte” nell’uso della tecnologia in rapporto all’attività lavorativa.
Se dovesse indicare uno dei fattori che oggi rappresentano un importante fattore di rischio di tecnostress, quale le verrebbe immediatamente in mente?
Quando si è iniziato a parlare di tecnostress ci si trovava in un momento storico – quello degli anni ’80 dello scorso secolo – in cui i lavoratori erano soggetti ad un forte stress derivante dall’introduzione in ambito lavorativo di nuove tecnologie mai viste prima. Ci si chiedeva allora perché modificare un modus operandi ormai consolidato senza comprenderne a pieno i successivi vantaggi e questo naturalmente creava forti frizioni e resistenze.
Da qualche anno ci troviamo invece di fronte ad un altro cambiamento epocale, che deriva dall’incremento esponenziale dell’utilizzo di smartphone, tablet, internet e dei social network; pertanto, oggi ci troviamo di fronte a un tecnostress che possiamo ridefinire come “networking stress”, che può addirittura manifestarsi in una vera e propria nomofobia, ossia paura di rimanere “disconnessi”.
Se provassimo a chiedere a noi stessi di non usare il nostro cellulare (anche aziendale) per i prossimi 30 minuti, senza neppure controllare lo schermo o, addirittura, di provare a lasciarlo a casa per un’intera giornata lavorativa, come reagiremmo?
Probabilmente alcuni sarebbero bel felici, ma molti di noi potrebbero sentirsi a disagio, potrebbero o “andare in crisi” nel timore di potrebbero perdere telefonate importanti, di non portare a termine obbiettivi, di non essere reperibili per i loro superiori o per i loro clienti. Una tale situazione emotiva potrebbe essere un primo campanello di allarme, l’indice che qualcosa non va nel nostro rapporto con la tecnologia, che stiamo diventando anche noi parte della “Generazione Always On” che usa la tecnologia al punto da renderla parte della sua stessa personalità.
Secondo lo Psichiatra Claudio Mencacci, “...il problema non è dovuto solo alle informazioni che perdiamo se non abbiamo il cellulare, ma al fatto che lo strumento viene percepito come parte integrante di Sé; da ciò il profondo dolore all’idea di perderlo” ed è la nostra istintiva “avversione alla perdita” a renderci così dipendenti e stressati dalla sola idea di rimanere esclusi da questa parte della nostra vita quotidiana.
Quale consiglio si sente di dare ai nostri lettori che si dovessero trovare in questa situazione di tecnostress?
Dal punto di vista lavorativo, cercare di comprendere insieme alla dirigenza aziendale le attività utili a ridurre questa situazione che, come sappiamo, crea anche danni produttivi ed organizzativi all’impresa, ad esempio attraverso la creazione di attività di formazione ed informazione sull’argomento. Come persona, privato, il consiglio è ogni tanto di disconnettersi dedicandosi ad attività non connesse oppure anche banalmente annoiandosi un po’!
Grazie dott. Servadio. Aggiungiamo che per chi fosse interessato ad approfondire l’argomento è attivo il sito internet tecnostress.it su cui è possibile trovare molto materiale utile in continuo aggiornamento.
Però, visitatelo con calma, ogni tanto, senza stress …
ENRICO BATTILANA
Nato a Genova, laureato in Scienze Politiche, socio di Zenazone srl e di Adolesco srl, co-fondatore di Zenazone.it.
Formatore dal 2012 per Web Marketing Strategico, Xelon, Parodi School, in materie quali SEO/SEM, Social Media Marketing e Copywriting digitale ha poi completato la conoscenza delle materie legate al marketing digitale attraverso la specializzazione in Neuromarketing Digitale. Certificato in Google Analytics avanzato.
Assistant Director e Membro di BNI (Business Network International), Fondatore e Membro di ASSINRETE, associazione nazionale professionisti Reti di Imprese, e membro del Lions Club San Giovanni Battista di Genova.
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